L’aridità dell’animo umano, il vuoto emozionale, la crisi esistenziale. L’incomunicabilità.
Michelangelo Antonioni, cineasta estense e tra i più influenti autori del cinema italiano moderno, tra il 1960 e il 1962 esplora la miserabilità e la decadenza dei valori morali in una trilogia - appunto detta “dell’incomunicabilità” - che in maniera pressoché sconvolgente (per l’epoca) affida alla potenza delle immagini la forza narrativa necessaria a sondare l’abisso dei sentimenti.
L’avventura sancisce non soltanto il legame artistico e sentimentale fra il regista e Monica Vitti (al secolo Maria Luisa Ceciarelli), ma celebra anche l’ascesa all’Empireo cinematografico dell’attrice romana la cui carriera viene così definitivamente lanciata e consacrata, avendo brillantemente superato una prova non certo facile, tanto dal punto di vista tecnico (la lavorazione del film fu alquanto problematica) quanto interpretativo.
L’avventura - cui faranno seguito La notte (1961) e L’eclisse (1962) - apre magistralmente un trittico destinato a fare scuola in ambito cinematografico, pregno ancor oggi di connotazioni peculiari e importanti nella misura in cui vengono messe a nudo le relazioni disfunzionali, fatte di incomprensioni e di emozioni inespresse, tra due individui apparentemente vicini ma in realtà divisi da una vacuità siderale. Come fosse una sorta di affinità elettiva, la quale anziché produrre legami produce separazioni. In mezzo vi è il nulla, solo parole. E lunghi silenzi.
Antonioni instaura un rapporto nuovo e diverso con il pubblico, rompendo gli schemi e scardinando i linguaggi del cinema classico per cui il nesso di causalità tra gli eventi è sempre soddisfatto e i vuoti narrativi sono scarsamente contemplati. Il cinema di Antonioni ribalta questi assunti e si concede il lusso di astenersi dallo spiegare il perché di un dato avvenimento, lasciando smarrito lo spettatore cui toccherà inevitabilmente l’incombenza di risolvere le incongruenze e i buchi del plot.
Ciò è particolarmente vero nel caso de L’avventura, nomen omen di questo primo capitolo esistenziale che rappresenta una nuova esperienza visiva ed emotiva per lo spettatore, un viaggio che egli intraprende assieme ai protagonisti i quali sono proiettati verso un percorso ignoto, costellato di grandi enigmi, fuori e dentro sé stessi. Il primo e il più macroscopico enigma è quello relativo alla misteriosa sparizione durante una crociera in barca del personaggio chiave, Anna, interpretata da Lea Massari, e che da inizio all’avventura vera e propria.
Fino a quel momento, ad appena un terzo di visione, un clima di apatia e di inerzia aleggia sulla storia che vede riunito un gruppetto di amici al largo delle Isole Eolie, sotto gli occhi del quale tutto sembra svolgersi senza alcun reale interesse, quasi nella più totale indifferenza. Antonioni tratteggia i personaggi nella loro tipica veste di borghesi viziosi e annoiati, che cercano come possono di colmare il vuoto della loro esistenza effimera. Così è Anna, figlia di un ambasciatore che da subito ammonisce la figlia circa il proprio avvenire, così è il suo fidanzato Sandro (Gabriele Ferzetti), architetto insoddisfatto, cinico e materialista. I due sembrano prossimi al matrimonio ma lei non fa altro che rinfacciargli il proprio disagio e le frustrazioni riguardo il futuro, tutte esternazioni queste che lui non riesce a cogliere. E così, di punto in bianco, durante una sosta sull’isolotto di Lisca Bianca (al largo di Panarea), e dopo l’ennesima discussione, lei esce di scena, scomparendo senza lasciare alcuna traccia di sé.
La sparizione sembra dare una scossa all’imperturbabilità del gruppo e tutti si danno da fare per cercare la donna, mentre sulle coste dell’isola, brulla e disabitata, il mare si infrange impetuoso. Un incidente? Una fuga? Un suicidio? Nessuno ha visto nulla e non ci sono tracce significative da seguire.
Claudia (Monica Vitti), è la migliore amica di Anna e sin da subito appare diversa da tutti gli altri, quasi una mosca bianca, caratterizzata da solidi valori morali e buoni sentimenti. È disperata, ha paura che l’amica possa non fare più ritorno e vive con angoscia le ore successive sull’isola, sulla quale ha deciso di rimanere assieme a Sandro per proseguire le ricerche. Ben presto però il mistero diventa rassegnazione e il timore di aver perduto una persona cara lascia il posto a una nuova realtà. Un sentimento nuovo comincia a farsi strada fra Claudia e Sandro i quali, con il pretesto di dover ritrovare Anna, desiderano soltanto passare insieme le proprie giornate. Ma da subito i due appaiono mossi da pulsioni contrastanti e che non riescono neanche ad esprimere apertamente. Lei è inizialmente reticente e lo respinge, riconoscendo di fare un torto all’amica dispersa, ma cede comunque alle avance di Sandro che sin da subito cerca il contatto fisico con la donna, dimenticandosi istantaneamente della fidanzata.
Man mano che le ricerche proseguono, seguendo labili piste fatte di fantasmatici avvistamenti per diverse località della Sicilia, la coppia sembra consolidare il proprio rapporto, comportandosi come tale anche al cospetto dei compagni di crociera che infine i due decidono di raggiungere a Taormina, i quali, dal canto loro, non appaiono nemmeno stupiti della novità.
Ma è qui che arriva un ulteriore punto di svolta. Claudia è ormai palesemente innamorata e se prima temeva per le sorti dell’amica adesso ha addirittura timore che possa essere ancora viva. Sandro, invece, si concede una scappatella con una ragazza conosciuta sul posto e che sarà scoperta dalla stessa Claudia.
L’ultimo segmento della pellicola mette dunque in luce tutta l’insicurezza e tutte le ipocrisie insite nell’animo umano, rivelando la natura inconsistente dei comportamenti messi in atto e che farà sorgere un ulteriore interrogativo circa gli esiti di un’avventura ormai avviata alla conclusione, tra le lacrime di Sandro (un rimorso?) e la mano di Claudia sulla sua spalla (un perdono?).
Girato con evidenti difficoltà logistiche (fra intemperie e ammutinamenti del cast tecnico), L’avventura porta sullo schermo un capolavoro di straniante alienazione, sublimato dalla forza delle immagini in bianco e nero che prendono spesso il posto dei dialoghi nell’economia della narrazione. Dialoghi spesso vuoti, fatti di parole che suonano possenti e con un certo appeal emozionale (“sta diventando tutto maledettamente facile, anche privarsi di un dolore”), ma spogliate di tutta la propria veridicità dinanzi allo smarrimento dei protagonisti che non sanno mai cosa realmente vogliono.
Un dramma disperato e senza soluzione che Antonioni - coadiuvato dai suoi aiuto registi Gianni Arduini e il palermitano Franco Indovina (purtroppo tragicamente scomparso nel 1972 in un disastro aereo nei pressi di Punta Raisi e che ha collaborato all’intera trilogia esistenziale) - realizza sullo sfondo di una Sicilia magnificamente fotografata da Aldo Scavarda. In particolare, si passa dall’arcipelago eoliano, selvaggio e incontaminato (e che conferisce altresì un certo senso di inquietudine), alle località di Bagheria (Villa Palagonia) e Palermo (Villa Niscemi), Milazzo, Cefalù, Castroreale, Messina, e dopo la città dello Stretto Catania, e poi sul litorale ionico del territorio di Siracusa (la Tonnara di Santa Panagia), transitando per la barocca Noto, e approdando infine nella stupenda Taormina con suggestivo scorcio finale del vulcano Etna, siglando così anche da un punto di vista estetico un capolavoro immortale e senza tempo. La troupe di Antonioni girò lungo gran parte del periplo dell'Isola.
Alla sua uscita L’avventura dovette affrontare spiacevoli beghe legali, essendo stato inizialmente sequestrato dalla magistratura per offesa al pudore e oscenità, ma riscosse in ogni caso ottimi consensi di critica, guadagnandosi il Premio della giuria al Festival di Cannes del 1960, un Nastro d’argento per la miglior colonna sonora (di Giovanni Fusco), nonché un Globo d’oro per la migliore attrice rivelazione conferito alla splendida e bravissima Monica Vitti.