Autore televisivo, regista cinematografico, sceneggiatore, documentarista eccezionale. Nato a Palermo il 15 maggio 1958, la prima vita artistica dell'istrionico Franco Maresco ha inizio grazie ad Interno notte (1989). Trasmissione televisiva in onda su TVM – TeleVideoMarket ideata dallo stesso Maresco, Umberto Cantone e Daniele Ciprì. Dall'incontro nascerà il quasi omonimo sodalizio Ciprì e Maresco che darà vita a Cinico TV (1992-1996). Una sperimentazione pionieristica di forte innovazione del linguaggio televisivo che nell'esasperare l'approccio giornalistico divenne inatteso precursore nei nostri tempi mediatici sullo sfondo di una Sicilia desolata e desolante, maschilista e arretrata, dipinta di un poetico e sgraziato bianco e nero.
Con Cinico TV Ciprì e Maresco si fecero notare. Approdarono prima nelle reti Fininvest col programma Isole comprese, poi in Rai con Blob e Fuori orario. Cose (mai) viste, realizzando infine preziosi cortometraggi che trovarono il proprio apice produttivo-artistico nel proficuo 1992 di Variazioni in collaborazione con Amos Gitai, Il corridore della paura con Samuel Fuller e Martin a Little con Martin Scorsese.
Le atmosfere di Cinico TV furono fonte d'ispirazione anche per i primi passi cinematografici del duo palermitano. È del 1995 infatti quel Lo zio di Brooklyn la cui a-linearità intrisa di pernacchie, atti sessuali tra contadini e asine, nani mafiosi e una Palermo distopica e apocalittica, seppe consolidare l'immaginario registico di Ciprì e Maresco nel suo alone onirico dal sapore surreale. Tre anni dopo fu la volta di Totò che visse due volte, il capolavoro del duo dalle atmosfere grottesche non dissimili dal critico (e cinico) predecessore, nonché clamoroso caso mediatico. Per la Censura infatti Totò che visse due volte era un'opera che non poteva e non doveva arrivare nelle sale cinematografiche. L'accusa rivolta al racconto episodico di Ciprì e Maresco era di vilipendio alla religione e tentata truffa. Ma ciò su cui la Censura puntò il dito rappresentò in realtà il riflesso allegorico di una narrazione escatologica trasudante materialismo e un nichilismo ora nietzschiano nella misura della morte di Dio, ora dostoevskiano in relazione al male di vivere degli uomini soffocato violentemente dalle loro stesse azioni; o per dirla con le parole degli stessi Ciprì e Maresco.
“È il sentimento di chi si sente abbandonato. Di un'umanità affranta che sente la mancanza di Dio”.
Gli anni Novanta di Ciprì e Maresco si chiusero con Intervista a Mario Monicelli (1998), F. (1999) in collaborazione con Peter Bogdanovich, il documentario semi-biografico Enzo, domani a Palermo! (1999) sulle vicende giudiziarie dell'operatore cinematografico Enzo Castagna, nonché una doppia ode d'amore al jazz di Duke Ellington e alle sue sonorità tra Noi e il Duca – Quando Duke Ellington suonò a Palermo e Steve Plays Duke (1999) con protagonista il sassofonista Steve Lacy.
Gli ultimi lavori del duo risalgono ai primi anni duemila con il surreale e sognante mockumentary meta-cinematografico dal titolo Il ritorno di Cagliostro (2003) ma soprattutto con il toccante omaggio a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia del duo comico Franco e Ciccio dal titolo Come inguaiammo il cinema italiano – La vera storia di Franco e Ciccio (2004). Mescolando materiale di repertorio degli archivi Rai a sketch comici e siparietti alla maniera di Cinico TV, Ciprì e Maresco unirono a uno stile documentaristico rodato, gag dalle venature nostalgiche avvalendosi perfino della partecipazione di personalità come Tatti Sanguineti, Pippo Baudo, Lino Banfi, Lando Buzzanca e Bernardo Bertolucci.
Un ultimo sussulto degnamente celebrato nella Menzione speciale al premio Pasinetti alla 61° Edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia che scrisse la parola fine a un sodalizio artistico ventennale artisticamente impareggiabile capace di cambiare per sempre – e come nessun altro – la percezione del cinema siciliano in Italia e nel Mondo. Di lì in avanti Ciprì e Maresco sono tornati ad essere Daniele Ciprì e Franco Maresco. Non più quindi un'unica, inseparabile, entità registica, ma due voci autoriali indipendenti e non più compenetranti.
La seconda vita artistica di Maresco è infatti un ritorno alle origini e ai toni comico-grotteschi di Cinico TV in un impianto narrativo tipicamente documentaristico con cui raccontare storie di vita siciliana delle più disparate. È questo, ad esempio, il caso de Io sono Tony Scott, ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz (2010). Opera che, nonostante il caso di omonimia con l'altrettanto brillante regista britannico di Top Gun (1986) e Man on Fire – Il fuoco della vendetta (2004), è musicale. Una lettera d'amore al clarinettista italo-americano Tony Scott (all'anagrafe Anthony Joseph Sciacca) che, a detta di Maresco durante la presentazione al 63° Festival del film Locarno, rappresenta un'irripetibile opportunità di racconto:
"Ripercorrere la vicenda musicale e personale di Tony Scott significa raccontare sessant'anni di jazz, di incontri umani e artistici incredibili. Ma anche, nello stesso tempo, la storia americana della seconda metà del secolo scorso, con le sue battaglie per i diritti civili e umani, di cui Tony Scott fu uno dei principali e appassionati sostenitori".
Quattro anni dopo è la volta di Belluscone – Una storia siciliana (2014). Vincitore del Premio Speciale della Giuria Orizzonti alla 71° Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia, con cui raccontare, tra il grottesco e il disincantato, le implicazioni mafiose nei legami tra Silvio Berlusconi e la Sicilia. Il successivo La mafia non è più quella di una volta (2019) va inteso, in tal senso, come un'ipotetica chiusura di un dittico filmico grottescamente nostalgico con cui Maresco punta il dito verso usi e costumi della mafia e delle sue strutture relazionali di potere; o per dirla alla maniera di Maresco alla 76° Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia:
“È un film abbastanza nichilista, una versione molto per i poveri della Società dello spettacolo di Guy Debord, un mondo dove tutto si è azzerato. È un film su una tragedia in corso, la mafia, di cui non si parla più, se non nelle fiction: nella più felice delle ipotesi (ti prego di cogliere l’ironia) l’antimafia ha il volto di Pif. L'idea, insomma, è che tutto si può fare, tutto è allo stesso livello: le fiction, le cerimonie istituzionali, i neomelodici. Nel film precedente, Belluscone, raccontavo i giovani sottoproletari che intendevano la parola "carabiniere" come un insulto. Oggi non c'è nemmeno più questo problema. E non perché sia penetrata chissà quale cultura della legalità. I ragazzi ti rispondono: "Mi piacerebbe fare il killer, ma se non posso, anche il carabiniere va bene". Tanto sono comunque eroi da fiction, di un super-Blob”.
Tra i due estremi del sopracitato dittico, quasi come a spezzare ma seguendo sempre quel filo conduttore tematico di riscossa sociale, Maresco gira Gli uomini di questa città io non li conosco – Vita e Teatro di Franco Scaldati (2015). Un'ode d'amore alla maniera di Tony Scott con cui celebrare la carriera del drammaturgo siciliano Scaldati e il suo prezioso impegno teatrale in difesa di chi, ogni giorno, vive ai margini della società. Una vita dedicata al cinema e per il cinema quella di Franco Maresco, di eclettismo e denuncia sociale radicali, riscatto e dissacrante cinismo, destinata a riecheggiare per sempre tra le pieghe del tempo.