L'attrice preferita da Antonioni cammina anche da sola e raccoglie il consenso che merita
L'avventura (1959), La notte (1960), L'eclisse (1962), Deserto rosso (1964), tutti film drammatici diretti da Michelangelo Antonioni. Ma anche comici come La ragazza con la pistola (1968) di Mario Monicelli. «Con Antonioni facevo coppia fissa nella vita e nel lavoro», dice Monica Vitti.
«Ma non si può mica stare insieme per l'eternità.» Così, lasciando Antonioni e interpretando La ragazza con la pistola di Monicelli, Monica Vìtti ha riscosso un successo tutto suo. Era la faccia delle nevrosi dei nostri anni è l'asso femminile della risata.
Che cambiamento, Monica.
«Finalmente adesso la gente dice: "Un film della Vitti". Prima diceva: "Un film di Antonioni". Giustissimo. I film di Antonioni erano di Antonioni e basta. Certo che appartenevano anche alla mia vita, ma erano suoi, c'erano dentro le cose che voleva dire lui, la sua personalità. Lo davo il mio contributo, però c'era poco da contribuire: per il regista-autore l'attore è come un paesaggio o un suono. È un oggetto, e agli oggetti non si spiega nulla: deve semplicemente stare lì, fare i gesti che gli vengono indicati, pronunciare le parole che legge su un foglio. Il risultato appartiene soltanto al regista. Giustissimo. Magari un po' frustrante per l'attore. Magari cominci a chiederti: se non ci fosse lui, riuscirei a combinare qualcosa? Così, un grosso successo come La ragazza con la pistola è rassicurante. Sapere di avercela fatta da sola. Certo, con Monicelli. Ma senza Antonioni, finalmente.»
Si sente più sicura di sé?
«Riesco persino a prendere l'aereo. Io, che ne ho sempre avuto un terrore morboso. Ora è cambiato tutto. Prima piacevo agli intellettuali, ai critici, a un'élite insomma. Per il resto del pubblico Michelangelo e io eravamo un soggetto da sketch, argomento ideale di tutte le barzellette sul cinema. Oddio, quelle battute atroci, sempre le stesse: "Pronto, signorina Vitti? Le passo la comunicazione". Pensi che la Vitti incomunicabile era diventata perfino una caratterizzazione comica, come il siciliano geloso, il genovese avaro e la suocera arpia. Adesso, invece, la gente per strada mi sorride. Si sono accorti che faccio ridere più di Tognazzi.»
Rispetto ai film di Antonioni il suo successo comico di oggi non le appare quindi di livello inferiore.
«Assolutamente no. Al contrario. Dal punto di vista professionale rappresenta un grande progresso, una prova di maturità e capacità. Non crederà, spero, che il genere drammatico sia più nobile di quello comico. Da quando ho smesso di fare film drammatici, mi prendono sul serio. Per La ragazza con la pistola mi hanno coperta di decorazioni: il Nastro d'argento, la Grolla d'oro, il David di Donatello, persino il premio "Una vita per il cinema" che non volevo neppure prendere: mi pareva un po' prestino.»
Quindi a lei i film di Antonioni non sono serviti a nulla?
«Senza i suoi film non avrei girato neanche film brillanti. Dopo, invece, è stata dura: nel cinema italiano cominciava il filone sexy, e io sono una che non si spoglia. Mi piace spogliarmi in privato. Ma vallo a spiegare ai registi sexy.»